Una piccola mansarda nel cuore della vecchia Garbatella era il luogo dove mi rifugiavo dalle pressioni del mondo. Un piccolo spazio preso in affitto da una vecchietta che abitava al piano terra, per la quale l’avere un uomo nel suo stabile la rendeva più sicura. In quel modo, era solita ripetere, era certa che ci fosse sempre qualcuno su cui poter contare, anche se solo in maniera ipotetica, dato che non stavo mai in casa, e quando c’ero, me ne stavo in assoluto silenzio.
Amavo la solitudine, quella fatta di riflessioni, di ricordi, di progetti spesso del tutto irrealizzabili, quella in cui non si cerca in nessun modo la compagnia di qualche simile per sfuggire ad una situazione di oppressione. Anche perché la mia solitudine non opprimeva affatto.
A dirla tutta, la gente mi dava fastidio!
Non mi piaceva stare nella confusione e difficilmente riuscivo a trovare una qualche chiacchierata almeno interessante.
Trovavo il mio prossimo banale, superficiale, ignorante, noioso, e, soprattutto, ipocrita. E sebbene odiassi trovarmi nella confusione, mi piaceva osservare le persone, guardare il loro modo di camminare, di gesticolare, le espressioni del volto. La mimica, quella che a differenza delle parole non riusciva ad ingannarti. Cercavo sempre di dare un senso a tutto ciò che vedevo, anche se spesso non era affatto facile. Chi si mascherava da persona seria, chi da affermato professionista, chi da padre e marito amorevole ed attento. C’era anche chi si fingeva distratto, e chi essendolo veramente, tentava di ostentare un’attenzione assolutamente fasulla.
Forse era più corretto dire che odiavo la gente e per questo non avevo amici, e tanto meno desideravo averne!
Non me n’era mai importato, e come spesso accade, le cose erano peggiorate con il tempo, sempre più chiuso in me stesso.
Non avevo più fiducia negli esseri umani. Ero convinto di aver sofferto abbastanza, e che era giunto il momento in cui fossi io a portare il dolore nelle case della gente, di persone che magari neanche conoscevo, e che avrei visto una sola volta, l’ultima da vivi.
Non provavo nessuna emozione, niente di niente, mentre in un passato oramai troppo lontano, ero capace di preoccuparmi di mille cose.
Adesso invece giocavo con la morte. La sfidavo costantemente. Ne sentivo la presenza al mio fianco in ogni momento delle mie lunghe giornate, alle volte così interminabili che io stesso avrei voluto darci un taglio.
Certe volte mi sembrava quasi di riuscire a parlare con la signora con la falce, ammantata di nero, come la tradizione cattolica voleva che la vedessimo. Eppure mi sentivo più forte di quell’angelo nero che mi avrebbe preso al sopraggiungere della mia ora. Ma fino a quel momento sarei stato io a tenere in scacco la morte stessa. Non mi avrebbe avuto fino alla fine dei giorni, dei miei giorni; e questo solo Dio poteva saperlo, sempre che esistesse, dato che io non sapevo più in cosa credere.
Dove abitavo, almeno per il momento, avevo tutto quello di cui avevo bisogno. Lo spazio era ridotto al minimo, ma a me andava bene così! Non avevo particolari necessità.
Un unico ambiente che rappresentava, anche se con un po’ di immaginazione, un soggiorno, con un angolo cottura posto sotto l’unica finestra che c’era in quello spazio, e che si affacciava su una stradina stretta a doppio senso, dove si incastravano costantemente le auto che marciavano in senso opposto! Il letto era leggermente rialzato rispetto al piano del soggiorno, e vi si accedeva grazie a due scalini, proprio sotto la tenue luce di una piccola specie di lucernario.
Nelle notti di primavera, quando non c’erano nuvole a rincorrersi nel cielo, ero completamente ammaliato dalla volta celeste e dall’immensità dell’universo. Era lì che doveva nascondersi quello che chiamavano Dio!
Stavo ore intere ad osservare le stelle, il loro chiarore in quella grandiosa e meravigliosa creazione. Alle volte avevo la forte sensazione di non essere completamente solo! Un intero universo per degli esseri, come quelli umani, era uno spreco a dir poco inaudito. E sebbene pensassi che questo “presunto” Dio lasciasse troppe cose alla libera scelta degli uomini, non potevo credere, visto anche il pessimo risultato, a noi esseri umani come unico popolo dell’intero universo.
A casa con me, con il beneplacito della proprietaria, c’era Omero. Un enorme gatto nero con due grandissimi occhi gialli, simili a due lampioni. Sembrava tutto tranne un felino, soprattutto nel comportamento.
Iperprotettivo, affettuoso come difficilmente si riesce a vedere in un gatto, amante della musica e della cucina messicana. Mangiava i tacos ed i burritos come fossero dei croccantini. E quando portavo a casa roba cinese, dovevo prendere anche dei gamberi per lui.
Lo chiamavo Omero, gatto sincero, unica creatura di cui mi fidassi ciecamente. Ero sicuro che non mi avrebbe mai tradito, nemmeno per una gatta!
La mattina miagolava vicino alla porta. Mi alzavo e gli aprivo, lasciando la catena agganciata, in modo tale che rimanesse uno spiraglio per consentirgli di rientrare. Era l’unico momento in cui me ne fregavo di tutte le accortezze che usavo per rimanere invisibile ad occhi troppo curiosi.
Non avevo la più pallida idea di cosa facesse il mio amico felino nei suoi vagabondaggi per il quartiere. Solo una volta lo avevo visto azzuffarsi, immagino per il possesso del territorio, con altri due gatti, uno tigrato e l’altro bianco pezzato. All’inizio volevo intervenire, e fermare quella lotta senza apparente esclusione di colpi. Avevo paura per l’incolumità di Omero! L’unico affetto che avevo! Ma non feci nemmeno in tempo ad avvicinarmi che gli altri due felini se ne erano andati a gambe levate, tutti arruffati e spelacchiati. Come mi vide, il mio Omero venne verso di me per raccogliere la sua dose di complimenti per un combattimento impari in cui era risultato, comunque, il più forte. Lo presi in braccio e me lo strinsi forte tra le braccia, accarezzandogli il testolone. Dovetti togliergli dalla bocca i peli degli altri due gatti.
Si lasciava fare qualsiasi cosa da me e soprattutto si faceva amare più semplicemente di un essere umano!
Tratto da "Il richiamo del sangue"