UN FRAMMENTO DEL ROMANZO
(...)
La notte era il momento più difficile della giornata! Non avevo paura della Signora con la falce, ma temevo tutto ciò che mi compariva davanti agli occhi durante quelle ore di buio, quando le due realtà sembravano quasi scambiarsi di posto. Quale era la mia vera vita? E in che spazio mi collocavo?
Gli occhi di Giulia non riuscivo a scostarli dalla mia vista. Non vedevo altro! La mia bambina, il mio amore più grande, la mia gioia infinita. E non c’era più, senza neanche sapere cosa fosse veramente accaduto. Come era morta? E chi poteva avere una qualche responsabilità? Si era veramente trattato di un incidente? E allora perché quando pensavo alla mia bimba, il mio bruciore alla cervicale, il mio allarme interno, si attivava in maniera parossistica?
L’unica persona che mi avrebbe potuto dire qualcosa era Lucrezia. Ma aveva smesso di parlare da tempo. Quella donna era divenuta una specie di guscio vuoto, la cui anima era volata via in cielo insieme a Giulia.
Perché tutto questo? Mi sentivo in qualche modo responsabile! Ero io quello che meno di tutti meritava di continuare a vivere. E non avevo potuto far nulla per evitare tutto quello che era tremendamente accaduto!
Ma oltre che sulla terra, nemmeno in cielo esisteva un qualche riconoscimento all’innocenza, all’onestà, alla purezza? Dov’era quella tanto decantata giustizia divina? Perché Dio non interveniva? E la sua tanto decantata onnipotenza? Era capace di sacrificare suo figlio su una maledetta croce, e permettere che dei bambini innocenti potessero morire?
Da tempo avevo iniziato a pensare che Dio fosse una mera invenzione di certi uomini che avevano fatto di un fittizio Ente superiore una ragione di vita, per loro, per il proprio sostentamento, e per milioni di creduloni; un modo per tenerli in riga, capaci con la propria ingenuità, di convincersi che alla sofferenza umana terrena ci fosse da contraltare una felicità eterna e celestiale.
Dio, Dio, Dio!
Dove cazzo sei nascosto!
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