Dentro l’auto risuonava dolcemente la musica degli Stadio. Un ritmo e delle frasi che riuscivano a farti sognare. Avevo comperato un Cd doppio, contenente la raccolta dei più grandi successi dello storico gruppo di Gaetano Curreri. Lo ascoltavo di continuo. Alcune canzoni mi riportavano indietro nel tempo, quando da ragazzetto frequentavo un gruppo di amici piuttosto assortito e tra questi c’era anche la mia prima ragazza, il primo grande amore, una biondina tutta pepe, con due grandissimi occhi verdi e con la carnagione chiara e lentigginosa tipica delle irlandesi.
Ci siamo amati per tanti anni, ma poi è subentrata quella maledetta abitudine, quella noia che ti fa sembrare che non sia cambiato nulla rispetto all’inizio e, se ti va bene, arrivi a mala pena a sopportarti. E’ stato un addio scontato e quasi liberatorio, sebbene, come in tutte le perdite, non certo indolore.
All’improvviso vidi dei movimenti all’uscita della Seléctiva, una società medio – piccola che si occupava di informatica, in particolare di software, e che stava ottenendo grandi risultati grazie alla realizzazione di un nuovo programma di semplice utilizzo, e a costi contenuti, per la gestione informatica di dati nel settore assicurativo, che stava sbaragliando la concorrenza.
Si trattava di una donna, nel suo impeccabile tailleur scuro, con gonna e tacco generoso.
Aveva la sua bella borsa griffata, oltre ad un porta notebook di colore arancione, forse della pquadro, che stonava completamente con il resto del vestiario e degli indumenti indossati, anche se, personalmente, mi piacevano i colori accesi, quelli fuori dall’ordinario, capaci di attirare l’attenzione della gente e la loro falsa riprovazione, in una frazione di secondo. Ma poi, dell’opinione altrui, chi se n’era mai fregato?
La donna, forse sulla cinquantina scontati, e probabilmente una dirigente di quella azienda, si dirigeva a passo rapido verso il parcheggio, circondato dal verde di un ampio piazzale parzialmente recintato, ed asfaltato solo lungo il vialetto d’accesso.
Rimanevano una Lancia Thesis, una Alfa Romeo ed un grosso Suv.
Guardai la direzione che aveva preso la donna, fino a quando non fu evidente che l’auto che avrebbe lasciato per prima il parcheggio sarebbe stata l’Alfa. Una 159, un’auto grintosa dalle linee sfuggenti ed aggressive, di colore grigio scuro. Gran bella macchina! La mia attenzione venne attirata però, a quel punto, da un brusco ed inatteso fruscio alla mia sinistra.
Un rapido scatto, il muoversi dell’erba, cresciuta oltre misura per le copiose piogge di quelle settimane.
Intanto dagli altoparlanti si diffondeva la canzone “Acqua e sapone”.
Il mio finestrino era aperto per due terzi, sebbene l’aria fosse ancora fresca, e ci fosse molta umidità.
Rimasi immobile al posto di guida, volgendo lentamente lo sguardo all’esterno, verso la direzione in cui mi aspettavo il successivo movimento. L’oscurità della sera era già scesa da un po’, e tutto pareva più indistinto e sfumato. Non c’erano lampioni, tranne che in prossimità della Seléctiva.
Nel punto in cui avevo deciso invece di fermarmi, il buio era ancora più intenso per la presenza di alcuni grandi platani, ed una serie di rovi che si stendevano per parecchi metri, fin dentro un boschetto di aceri e pioppi.
Un altro movimento ed un soffice scalpiccio, fino a quando non intravidi l’occhietto vispo e allertato di un leprotto, con le lunghe orecchie che sondavano l’aria alla ricerca di qualsiasi rumore sospetto.
Pensai, sorridendo, che la curiosità di quel tenero leprotto, in un’altra situazione, gli sarebbe costata molto cara. Ma non ero un cacciatore, almeno di animali a quattro zampe!
“Non sei tu la lepre che cerco!” dissi a voce bassa, cercando di poter continuare a guardare quell’animaletto, senza correre il rischio di spaventarlo, piuttosto che vederlo scappare nel folto del boschetto vicino.
Ma ad un certo istante un lieve brivido mi percorse improvviso lungo la parte alta della schiena. La cervicale! Il mio allarme interno! Il mio sensore per i guai e per ogni tipo di pericolo!
Doveva esser giunto il momento!
Infatti pochi istanti dopo, ci fu un po’ di movimento in prossimità della porta di accesso all’azienda che stavo tenendo d’occhio.
Una serie di saluti, qualche battuta e qualche risata, fino a quando un uomo giovane uscì dal portone, portando con se una pesante ventiquattrore. Abito scuro, cravatta regimental, occhiali rotondi e capelli tagliati corti, con un fisico da persona che frequenta abitualmente la palestra e che fa di tutto per mantenersi in forma: corsetta, alimentazione controllata, lotta ai grassi e ai carboidrati, propaganda anti colesterolo e vita consacrata al successo personale e professionale.
Con passo sicuro, si diresse verso il parcheggio aziendale. Cercò nel Loden verde scuro che portava al braccio le chiavi della sua auto. Il Suv era li che lo aspettava, ne ero certo.
Uno splendido X5 nero della BMW!
Da una certa distanza, anche io feci la mia mossa.
Aprì lo sportello dell’auto, e scesi, lentamente, senza dare nell’occhio, sistemandomi il trench nero che indossavo di solito!
Con calma, senza però il minimo indugio, mi diressi verso il grosso fuoristrada.
Ero a circa cento metri, lo sguardo fisso su quell’uomo alto e slanciato, dal fisico atletico e prestante, senza perdere di vista eventuali intrusioni da parte di qualcuno che magari si era attardato in azienda.
C’era ancora la Lancia, li ferma! Le luci andavano attenuandosi, rendendo quello spazio poco visibile da lontano. Anche se ci fosse stato un custode, non gli sarebbe stato facile capire cosa stava per accadere.
Cinquanta metri!
L’uomo fece lampeggiare le luci di posizione, disinserendo l’antifurto e, con un morbido stacco, aprì lo sportellone posteriore, adagiandovi la borsa, e sistemandola in modo che non venisse sballottata nell’ampio bagagliaio. Nella parte superiore si notava il triangolo rosso fluorescente.
L’uomo chiuse il portellone e si diresse verso il posto di guida. Aprì la portiera e, sistemato il cappotto sul sedile del passeggero, si sedette al volante del suo grosso fuori strada.
Io ero dietro di lui e lo osservavo attraverso il finestrino.
Attesi alcuni secondi, il tempo che la mia lepre si sistemasse, poi bussai al vetro della sua vettura.
Il giovane uomo sobbalzò sul sedile, voltandosi di scatto verso di me. Il finestrino era chiuso. Cercai di fargli capire che avevo un problema con la mia di vettura, in modo che la lepre si tranquillizzasse e abbassasse il vetro che ci separava.
“Che succede? Che cosa vuole?” disse scocciato l’uomo, dopo aver schiacciato il pulsante dell’alzacristalli elettrico, sporgendosi leggermente verso di me.
“Niente, assolutamente niente!” risposi con grande tranquillità, sorridendo.
Infilai lentamente la mano sotto il trench e con uno scatto estrassi la mia MK23 silenziata a 12 colpi.
“Ma che cazzo.?”
Il Dott Arturi Carlo, amministratore delegato della Seléctiva e presidente di un’altra piccola società finanziaria, attiva sul mercato balcanico, non ebbe il tempo di terminare la frase.
Un solo proiettile! Ed un buco in fronte!
L’uomo si accasciò sul sedile come un fantoccio, con un ampio getto di sangue che andò ad imbrattare il sedile del passeggero ed il loden sistemato con tanta cura!
Presa la mia lepre!
Obiettivo raggiunto!